UMBERTO SABA
IL FANCIULLO E L’AVERLA
Vago del nuovo - interessate udiva
di lei, dal cacciatore, meraviglie -
quante promesse fece per averla!
L'ebbe; e all'istante l'obliò. La trista,
nella sua gabbia alla finestra appesa,
piangeva sola e in silenzio, del cielo
lontano irraggiungibile alla vista.
Si ricordò di lei solo quel giorno
che, per noia o malvagio animo, volle
stringerla in pugno. La quasi rapace
gli fece male e s'involò. Quel giorno,
per quel male l'amò senza ritorno.
(da Uccelli, 1950)
.
È un apologo questa poesia di Umberto Saba, una favola. E come ogni favola ha la sua morale, anzi più d’una: il desiderio che, appagato, diventa routine; la libertà agognata; il rimpianto per le cose perdute. Quell’averla – un uccello della famiglia dei passeri – può essere l’amico o l’amata cui neghiamo interesse, cui facciamo del male e che poi si allontana da noi lasciandoci il rammarico di essere stati la causa di tale allontanamento. È solo allora che possiamo comprendere il dolore causato: il prezzo da pagare, in una specie di contrappasso, è la meritata sofferenza, acuita dall’eternità della pena.
Fotografi © Wojsyl
. --------------------------------------------------------------------------------------------------------
LA FRASE DEL GIORNO
Nulla si è ottenuto, tutto è sprecato, quando il nostro desiderio è appagato senza gioia. Meglio essere ciò che distruggiamo, che inseguire con la distruzione una dubbiosa gioia.
WILLIAM SHAKESPEARE, Macbeth, atto III, scena III
Saba! Con poche significative parole ci ha sempre portato in mondi fatati!
RispondiEliminaÈ possibile sapere quali sono le figure retoriche presenti in questa poesia?
RispondiElimina