JUAN RAMÓN JIMÉNEZ
FARFALLA DI LUCE
la bellezza sfuma quando giungo
alla sua rosa.
Corro, cieco, dietro di lei...
la prendo quasi, ecco...
Resta nella mia mano solo
la forma della sua fuga!
(da Pietra e cielo, 1919 - Traduzione di F. Tentori Montalto)
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Nel corso della sua lunga ricerca poetica, il premio Nobel spagnolo Juan Ramón Jiménez è riuscito a cancellare la malinconia delle cose perdute cantate nei versi giovanili trasformandola in elevazione verso il bello grazie all’amore per la moglie Zenobia.
L’ansia verso il bello è uno dei temi principali delle poesie di Jiménez, capace di arrivare a dire: “Che lacerazione immensa / quella della mia vita nel tutto”, lacerazione nel dissidio tra sogno e realtà, tra ricordo e oblio, tra passato e futuro. Arriverà infine a riconoscersi “animale di fondo”, identificando in Dio la sublime incarnazione del bello. Ma questo accadrà nella raccolta del 1949. Qui siamo ancora lontani, in “Pietra e cielo”, edita quando Jiménez aveva trentotto anni: l’inquietudine del poeta è ancora al suo culmine.
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Dipinto di Michael Cheval
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* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *LA FRASE DEL GIORNO
Non so con che dirlo, / perché ancora non si è creata / la parola mia.
JUAN RAMÓN JIMÉNEZ, Eternità
Juan Ramón Jiménez (Palos de Moguer, 24 dicembre 1881 - San Juan, Portorico, 29 maggio 1958), poeta spagnolo premiato con il Nobel nel 1956, fu uno dei principali esponenti della Generazione del ’14 e del Modernismo. La sua ricerca poetica lo portò a privilegiare la poesia nuda ed essenziale, fatta solo di immagine e di parola al di là della musicalità esteriore.
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