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mercoledì 28 aprile 2010

Segni di vita

ALFONSO GATTO

AMORE DELLA VITA

Io vedo i grandi alberi della sera
che innalzano il cielo dei boulevards,
le carrozze di Roma che alle tombe
dell’Appia antica portano la luna.

Tutto di noi gran tempo ebbe la morte.

Pure, lunga la vita fu alla sera
di sguardi ad ogni casa, e oltre il cielo,
alle luci sorgenti ai campanili
ai nomi azzurri delle insegne, il cuore
mai più risponderà?

Oh, tra i rami grondanti di case e cielo
il cielo dei boulevards,
cielo chiaro di rondini!

O sera umana di noi raccolti
uomini stanchi uomini buoni,
il nostro dolce parlare
nel mondo senza paura.

Tornerà tornerà,
d’un balzo il cuore
desto
avrà parole?
Chiamerà le cose, le luci, i vivi?

I morti, i vinti, chi li desterà?

(da La storia delle vittime, 1947)

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È della primavera di guerra del 1944 questa poesia di Alfonso Gatto: in quel periodo cupo e terribile con l’invasore tedesco in Italia e l’incertezza sul destino degli eventi, il poeta riesce a scovare labili segni di amore, di attaccamento alla vita. In realtà sono segni che cerca disperatamente di vedere e ricordare: la dolcezza delle sere romane, il volo delle rondini, il cielo limpido e azzurro che come vernice copre le case e gli alberi.

La luna che risplende sopra uomini intenti a parlare, a collegare gli avvenimenti, è una speranza accesa nella notte diventata anch’essa non più fredda ma tiepida e piacevole, come un segno di speranza umana, un annuncio di una nuova vita. E con la forza di questa gioia sarà possibile credere nell’uomo e nella sua liberazione.

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Fotografia © Daniele Riva

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LA FRASE DEL GIORNO
Sembra un vano delirio questo credere alle cose.
ALFONSO GATTO, La storia delle vittime, “Le cose”




Alfonso Gatto (Salerno, 17 luglio 1909 – Orbetello, 8 marzo 1976), poeta e scrittore italiano. Ermetico, ma di confine, giornalista e pittore, insegnante di Letteratura all'Accademia di Belle Arti, collaboratore di “Campo di Marte”, la sua poesia è caratterizzata da un senso di morte che si intreccia al vivere.


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