La speranza è l’Ultima Dea, lo stato con cui ci si dispone a una fiduciosa attesa che qualcosa di positivo per noi avvenga. L’esatto contrario della disperazione, l’abbandono inerme nelle braccia del destino. Nella mitologia romana era una divinità allegorica, sorella del Sonno e della Morte, una giovane donna in piedi che con una mano regge un papavero o un mazzo di spighe e con l’altra alza il lembo della veste. Spesso era coronata di fiori e talora era appoggiata a una colonna o a un’ancora. Il suo colore era, ed è tuttora, il verde, simbolo della prima fioritura di primavera, presagio del raccolto.
Nel Cristianesimo la speranza, rappresentata da un’ancora, è una delle tre virtù teologali: per suo mezzo il credente aspetta con fiducia il soccorso della sua grazia durante la vita e la salvezza eterna nel Paradiso.
Il poeta francese Charles Péguy, in un poema dedicato alla speranza, rivendica una sorta di coraggio nell’abbandonarsi ad essa: “È sperare la cosa più difficile, / a voce bassa e vergognosamente. / La cosa facile è disperare / ed è la grande tentazione”. Coraggio, perché compagna della speranza è la paura, il timore che nulla si realizzi, che tutto si trasformi in un’illusione: “Non c’è speranza senza paura né paura senza speranza” recita uno scolio dall’Ethica del filosofo olandese Baruch Spinoza. Così “Chi tutto osa, ha il diritto di sperare molto” secondo William Shakespeare nel “Mercante di Venezia”.
La fiducia è un altro aspetto della virtù: lo stato stesso di attesa viene vissuto con un trasporto che se non è felicità, ne è comunque un apprezzabile surrogato. Aristotele la definisce “un sogno fatto da svegli”, secondo quanto cita Diogene Laerzio nelle “Vite dei filosofi”. Il filosofo tedesco Gottold Ephraim Lessing arriva a postulare che “Aver aspettato una gioia è stato pur sempre una gioia”, anche se Plauto un po’ pessimisticamente nella “Mostellaria” commenta che “Quel che non si spera accade più spesso di quel che si spera”.
È comunque una luce che si accende, un bagliore lontano che fa intravedere una via d’uscita a chi è bloccato nelle gallerie buie della vita: Hermann Hesse nella poesia “Presso Spezia” romanticamente spiega che “Nessuna notte è così greve e così buio mai nessun andare che non vi giunga, dal mattino ormai imminente, di luce un dolcissimo sentore” e in “Rosshalde” sostiene che “È felice chi spera”. Felicità forse no, ma consolazione certamente, a sentire Diogene di Sinope - “Le speranze sono i sonniferi dei nostri dolori” – e Johann Wolfgang Goethe - “La speranza è la seconda anima dell’infelice”.
Sperare allora come modo di vivere? No, come in tutte le cose la via sta nel mezzo, e ce lo ricorda Seneca: “Sarai tu stesso a procurarti motivi di affanno, ora affidandoti alla speranza, ora abbandonandoti alla disperazione? Se sei saggio, unisci una cosa all'altra: non sperare senza disperazione, non disperare senza speranza”.
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Fotografia © Lilfrog
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LA FRASE DEL GIORNO
Se non ci fosse la speranza non ci sarebbe un futuro.
JOHANN GOTTLOB FICHTE
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