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sabato 27 marzo 2010

Melanconia, ninfa gentile


CHARLES BAUDELAIRE

SPLEEN

Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio
Sullo spirito che geme in preda a lunghi affanni,
E versa abbracciando l'intero giro dell'orizzonte
Una luce diurna più triste della notte;

Quando la terra è trasformata in umida prigione,
Dove come un pipistrello la Speranza
Batte contro i muri con la sua timida ala
Picchiando la testa sui soffitti marcescenti;

Quando la pioggia distendendo le sue immense strisce
Imita le sbarre di un grande carcere
Ed un popolo muto di infami ragni
Tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli,

Improvvisamente delle campane sbattono con furia
E lanciano verso il cielo un urlo orrendo
Simili a spiriti vaganti senza patria
Che si mettono a gemere ostinati

E lunghi trasporti funebri senza tamburi, senza bande
Sfilano lentamente nella mia anima vinta; la Speranza
Piange e l'atroce angoscia dispotica
Pianta sul mio cranio chinato il suo nero vessillo.

(da I fiori del male, 1857)

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DANTE ALIGHIERI

UN DÌ SI VENNE A ME MALINCONIA

Un dì si venne a me Malinconia
e disse: «Io voglio un poco stare teco»;
e parve a me ch'ella menasse seco
Dolore e Ira per sua compagnia.

E io le dissi: «Partiti, va via»;
ed ella mi rispose come un greco:
e ragionando a grande agio meco,
guardai e vidi Amore, che venia

vestito di novo d'un drappo nero,
e nel suo capo portava un cappello;
e certo lacrimava pur di vero.

Ed eo li dissi: «Che hai, cattivello?».
Ed el rispose: «Eo ho guai e pensero,
ché nostra donna mor, dolce fratello».

(da Rime, LXXII)


Essere un po’ tristi e malinconici è necessario. Secondo gli psicologi, abbandonarsi allo spleen è un modo per proteggersi dai lati negativi che l’ebbrezza e l’euforia possono generare in noi: così si acutizzano lo spirito critico, la concentrazione, le capacità cognitive e persuasive. Lo dice lo psicologo australiano Joseph Forgas, che insegna all’Università del New South Wales.

Chi si ritira nella stanza privata della tristezza non fa altro che rifugiarsi in un luogo buio per risparmiare risorse psicologiche e segnalare agli altri che ha bisogno di aiuto. È una specie di autodifesa dunque, come quella delle scimmie che sono uscite sconfitte dalla lotta per il controllo del territorio e si allontanano tristi anche per non rischiare la pelle. La sopravvivenza, insomma, è un altro aspetto della storia.

La felicità poi, quando è eccessiva, ci rende pigri e troppo sicuri di noi stessi. La tristezza è il suo contraltare: uno stimolo a reagire, un punto di partenza per la riscossa. Intanto si riflette, si medita sull’azione. Non è un caso allora che la “melanconia, ninfa gentile” di Ippolito Pindemonte, sia la compagna del genio e del talento artistico. Il cosiddetto “umor nero” è un toccasana per la produzione artistica: detto scientificamente, è l’innalzamento dei livelli dell’ormone surrenale DHEA.

L’importante è che la tristezza sia sana e passeggera: quella patologica diventa depressione, il buio totale.

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Jacques Van Loo, “Malinconia”

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LA FRASE DEL GIORNO
La felicità mi rende triste, mi fa pensare all'infelicità che la segue sempre dappresso.
GÉRARD DE NERVAL, Le figlie del fuoco




Charles Baudelaire (Parigi, 9 aprile 1821 - 31 agosto 1867), poeta francese, considerato il padre del Simbolismo. Dopo un viaggio in Oriente, trascorse quasi tutta la vita a Parigi in un alternanza di droghe, alcool, disordini e aspirazioni ideali. La sua poesia verte sull'uomo, le sue cadute e i suoi tentativi di rialzarsi tra spleen e ideale.


Durante di Alighiero degli Alighieri, noto con il solo nome Dante (Firenze, tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265 – Ravenna, 14 settembre 1321), poeta italiano. Considerato il padre della lingua italiana, è universalmente noto per la Divina Commedia, espressione della cultura medievale. Spaziò all'interno dello scibile umano, segnando profondamente la letteratura italiana e la cultura occidentale, tanto da essere soprannominato il "Sommo Poeta".



4 commenti:

  1. un discorso già accennato....
    questa bella riflessione mi ha fatto pensare, tutto quello che scrivi è verissimo e aggiungo anche che il "sentirsi malinconico" è uno stato che provavo più spesso nell' adolescenza, quasi uno stato d'animo tipico di quel periodo, e forse è così davvero,si è proiettati nel futuro accompagnati da tante incertezze.
    La malinconia di adesso, invece ha più il sapore del ricordo, della nostalgia....
    A piccole dosi però....

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  2. Era una cosa che ho sempre sospettato, questa della positività della malinconia. Ora la scienza me lo conferma. E ho sempre ritenuto esatta la definizione data da Victor Hugo secondo il quale "la malinconia è la felicità di essere triste". Una condizione di felicità continua, oltre che essere probabilmente noiosa, non avrebbe neppure punti di riferimento.

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  3. Io vedo la malinconia come uno stato di ribellione quieta ad una gioia troppe volte finta e come "la bellezza della tristezza".

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  4. non arrivo a dire come Michelangelo che la malinconia è "allegrezza", ma mi piace quando capita crogiolarmi nello splendore del grigio

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