Il 4 gennaio 1960, cinquant’anni fa, moriva in un incidente stradale a Villeblevin, nel dipartimento francese dello Yonne, lo scrittore Albert Camus. Nato a Mondovi, nell’Algeria francese, Camus, filosofo, saggista, romanziere e drammaturgo, aveva 46 anni. Nel 1957 aveva ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura.
Tutti conosciamo due sue opere celeberrime: “La peste” e “Lo straniero”: sono esempi significativi della sua visione letteraria, un umanesimo basato sulla presa di coscienza dell’assurdità della condizione umana. «L’assurdo nasce da questo confronto tra la supplica umana e il silenzio irragionevole del mondo» scrive nel “Mito di Sisifo”, opera del 1942: due elementi che si contrappongono, dunque, la ricerca disperata della conoscenza della propria ragion d’essere e l’assenza di risposta. Perciò l’uomo vive in un mondo del quale non comprende il senso e del quale ignora tutto: «Voglio che mi sia spiegato tutto o nulla. E la ragione è impotente di fronte a questo grido del cuore. Lo spirito, risvegliato da questa esigenza, cerca e non trova che contraddizioni e sragionamenti. Ciò che io non comprendo è senza ragione. Il mondo è popolato da questi irrazionali, ed esso stesso, di cui non capisco il significato unico, non è che un immenso irrazionale».
L’unica risposta, per quanto non definitiva, dice Camus, è la rivolta: conoscere il nostro destino finale, come dei condannati a morte che rifiutino il suicidio. In “Metafisica cristiana e neoplatonismo” scrive: «In verità, è un paradosso tipico dello spirito umano cogliere gli elementi senza poterne abbracciare la sintesi: paradosso epistemologico d'una scienza certa nei fatti, ma comunque insufficiente: sufficiente nelle sue teorie, ma comunque incerta, ovvero paradosso psicologico di un io percettibile nelle sue parti, ma inaccessibile nella sua profonda unità».
Nei romanzi Camus predilige uno stile spoglio, a favore del discorso indiretto: un modo di esprimere la neutralità e l’oggettività e di rafforzare il lato drammatico della storia: Jean-Paul Sartre parla a questo proposito di uno stile “che accentua la solitudine di ogni unità frastica”. Questo stralcio dello “Straniero” ne è un esempio lampante: «”Tu ti inganni, figlio mio”, mi ha detto. “Ti si potrebbe domandare di più. Te lo domanderanno, forse”. “E che cosa mai?”. “Ti potrebbe esser chiesto di vedere”. “Vedere cosa?” [...] “Tutte queste pietre sudano il dolore, lo so. Non l'ho mai guardate senza angoscia. Ma dal fondo del mio cuore so che i più miserabili di voi hanno visto sorgere dalla loro oscurità un volto divino. è questo volto che vi si chiede di vedere”.
Mi sono animato un po'. Ho detto che erano mesi che guardavo quei muri. Non c'era nulla né alcuna persona al mondo che conoscessi meglio. Forse, già molto tempo prima vi avevo cercato un volto. Ma quel volto aveva il colore del sole e la fiamma del desiderio: era quello di Maria».
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LA FRASE DEL GIORNO
Creare è vivere due volte.
ALBERT CAMUS, il mito di Sisifo
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