EUGENIO MONTALE
CIGOLA LA CARRUCOLA DEL POZZO
Cigola la carrucola del pozzo,
l'acqua sale e alla luce vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un'immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro...
Ah che già stride
la ruota, ti ridona all'atro fondo,
visione, una distanza ci divide.
(da Ossi di seppia, Gobetti, 1925)
Tra i temi amati da Eugenio Montale spicca l'incapacità di trattenere il vissuto, lo svaporare dei momenti di gioia, del ricordo delle persone amate, lo svanire inesorabile dei volti nella memoria. Questa lacuna genera l'angoscia, un disperato scoramento.
Così da un atto dimesso come quello di raccogliere l'acqua da un pozzo con un secchio nasce una poesia emblematica, che fonde in sé realtà e simbolo allo stesso modo in cui la luce, penetrando nell'acqua tolta alle profondità della terra, ricrea sulla superficie un'immagine che al poeta sembra quella di un volto caro. Quei riverberi sono illusori come illusoria è la memoria, ci dice Montale: quel verbo "trema" indica insieme l'agitarsi dell'acqua nel secchio e l'evanescente formarsi di una figura nel suo specchio.
Il passato è ormai perduto, è deformato dalla lente dei giorni, dal tempo che si è interposto: così il poeta che si avvicina al riflesso, come per baciarne le labbra, attratto da quell'ombra, si rende conto di essere ormai divenuto un altro: comprende che quel ricordo non gli appartiene più, che un altro, pur essendo lui stesso, l'ha vissuto.
E la distanza è ben più grande di quella che c'è tra la carrucola e il fondo del pozzo, dove ora il secchio, scendendo, riporta quell'immagine nel buio...
Così da un atto dimesso come quello di raccogliere l'acqua da un pozzo con un secchio nasce una poesia emblematica, che fonde in sé realtà e simbolo allo stesso modo in cui la luce, penetrando nell'acqua tolta alle profondità della terra, ricrea sulla superficie un'immagine che al poeta sembra quella di un volto caro. Quei riverberi sono illusori come illusoria è la memoria, ci dice Montale: quel verbo "trema" indica insieme l'agitarsi dell'acqua nel secchio e l'evanescente formarsi di una figura nel suo specchio.
Il passato è ormai perduto, è deformato dalla lente dei giorni, dal tempo che si è interposto: così il poeta che si avvicina al riflesso, come per baciarne le labbra, attratto da quell'ombra, si rende conto di essere ormai divenuto un altro: comprende che quel ricordo non gli appartiene più, che un altro, pur essendo lui stesso, l'ha vissuto.
E la distanza è ben più grande di quella che c'è tra la carrucola e il fondo del pozzo, dove ora il secchio, scendendo, riporta quell'immagine nel buio...
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LA FRASE DEL GIORNO
Solo il vero poeta sa quanta tristezza abiti nella casa di specchi della poesia.
MILAN KUNDERA, La vita è altrove
Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere" si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.
A volte i ricordi paiono proprio inesorabilmente allontanarsi da noi, raffreddarsi ed arrugginirsi come la carrucola d'un pozzo - che inghiotte inesorabilmente nel suo profondo buio ciò che il secchio della nostra memoria porta in sè.
RispondiEliminaMotivo per cui, i ricordi cui siamo più legati vanno tenuti vivi ...o scorreranno via...
La poesia, trovo aiuti moltissimo proprio ad esprimere, fissare e trattenere intatte le emozioni ed i ricordi, nel tempo.
(Poesia "da brivido" anche questa - come tutte le poesie di papà Eugenio)
La poesia è ricordo che si rinnova, essenzialmente è emozione ripetuta.
RispondiEliminaNon l'ho scritto nel post, ma lo strazio è reso bene da quei suoni sgraziati, non melodiosi: "cigola", "stride"