Secondo una ricerca svolta da Siro Trevisanato, un microbiologo italo-canadese di Oakville, nell'Ontario, pubblicata sul "Journal of Medical Hypothesis", la prima arma biologica della storia sarebbe stata ideata dagli ittiti nel loro periodo di espansione: tra il 1320 e il 1318 avanti Cristo attaccarono la città fenicia di Simyra, situata sulla frontiera tra Libano e Siria, portandosi via con il bottino anche i montoni affetti da tularemia; scoperta l'origine dell'epidemia, gli ittiti decisero di usarla per battere i nemici.
Questa malattia, provocata dal batterio Francisella tularensis, è nota anche come "febbre dei conigli" ed è molto contagiosa, in grado di trasmettersi dagli animali agli uomini attraverso l'ingestione di carni contaminate, il contatto con animali infetti o la semplice puntura di insetti. Senza trattamento antibiotico, risulta fatale nel 15% dei casi.
Così la "peste ittita", come è citata in documenti del tempo, venne diffusa attraverso l'invio di montoni sul territorio nemico: allevati, macellati, mangiati, diffusero rapidamente il morbo consentendo al popolo anatolico di difendere ed allargare il proprio impero.
Nelle guerre del mondo antico le armi biologiche erano all'ordine del giorno: nei commentari storici sono testimoniati lanci di favi di vespe e calabroni, di sacchi riempiti di serpenti o scorpioni, così da costringere alla fuga precipitosa i nemici. Anche nel Medioevo sono segnalati casi di "guerra batteriologica": nel 1346 i Mongoli, durante l'assedio alla città di Caffa, sul Mar Nero, catapultarono oltre le mura strenuamente difese i cadaveri dei propri soldati uccisi dalla peste bubbonica. I sopravvissuti all'attacco propagarono per tutta l'Europa la tremenda malattia, che nel giro di quattro anni sterminò un terzo della popolazione.
Nel XVI secolo i “conquistadores” spagnoli contagiarono involontariamente gli indigeni diffondendo malattie innocue per gli occidentali, ma letali per Inca, Maya e Aztechi: il banale raffreddore, per esempio. Due secoli dopo, gli inglesi invece infettarono scientemente e subdolamente i Maori della Nuova Zelanda con un’epidemia di sifilide.
Accanto alle armi biologiche, apparvero quelle chimiche: non ancora i gas asfissianti e vescicanti della I guerra mondiale, ma fiumi di zolfo incendiati dagli Ateniesi nella guerra del Peloponneso o rudimentali miscugli di pece, resina, zolfo e corno, utilizzati nella crociata contro i catari nel XIII secolo dai difensori di Beaucaire, o involucri di carta di riso pieni di polveri e piante lacrimogene, ideati dai cinesi già nel VI secolo avanti Cristo. Senza dimenticare le punte di frecce intinte nel curaro degli Indios Jivaros e di altre popolazioni primitive. Sostanze tossiche venivano adoperate anche per avvelenare l’acqua e le derrate alimentari: Solone nel 590 avanti Cristo ordinò di gettare radici di elleboro, la “rosa di Natale”, nelle riserve della città assediata di Cirra.
La guerra, come sosteneva Tito Livio, nutre se stessa. Dalla clava preistorica alla bomba "tagliamargherite" usata in Iraq.
Bassorilievo con guerrieri ittiti, Yazilikaya, Turchia
LA FRASE DEL GIORNO
Conoscere per mezzo dell'intelligenza è un tentativo vano di far a meno del tempo.
ANDRÉ MALRAUX, La condizione umana
Grazie di questo post.
RispondiEliminaNon si trova tanto sulla rete a proposito delgi ittiti....
Sì, è strano che di un popolo così importante ci si interessi così poco. Ed è strano che sia rimasto avvolto nel mistero per quasi tremila anni. Forse è proprio per questo che mi affascina.
RispondiEliminaGrazie per il commento