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lunedì 28 aprile 2008

L'oppio dell'ora


MARIO NOVARO
OPPIO

Liquido respiro alterno aperto
di liscio mare ferrigno
con pigra una barca là nell'infinito
donde immensa volta di cielo s'inarca
e vi si appuntano
i cipressi che salgono dal mare
neri, tagliando l'orizzonte
spalancano lo spazio
perché l'anima immota lo varchi
oziando nell'oppio dell'ora. 

(da Murmuri ed echi, 1912)


Sono giorni di primavera adesso, le piogge hanno lasciato il campo a un sole caldo, più caldo perché inatteso. Il pomeriggio di aprile fa stanchi, appesantisce tiepido le palpebre. Cullano il dormiveglia i cinguettii dei passeri, dei tordi, dei fringuelli, il tubare delle tortore, il ritmo frenetico del picchio. E il sonno cala lieve come i petali dei fiori di melo sulla terra.
È questo senso di ozio che il poeta ligure Mario Novaro paragona all'oppio nei versi del 1912, raccolti nel volume "Murmuri ed echi". Nella tranquillità di una vista sul mare, quello di Oneglia, nell'inerzia dell'ora calda, la scoperta dei segreti delle cose erompe quasi da sé, come una rivelazione, da quel mare balenante di riflessi.




Fotografia © Daniele Riva



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LA FRASE DEL GIORNO
Se la poesia non ci libera dalla logica, a null'altro ci può servire.
MIGUEL DE UNAMUNO, Soliloqui e conversazioni




Mario Novaro (Diano Marina, 25 settembre 1868 – Ponti di Nava, 9 agosto 1944), poeta e filosofo italiano. Nella sua poesia - la sola opera Murmuri ed echi del 1912 - un'ansia metafisica si accompagna, pascolianamente, a un impressionismo lirico.



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