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sabato 19 aprile 2008

Dora Markus


EUGENIO MONTALE

DORA MARKUS


1

Fu dove il ponte di legno
mette a Porto Corsini sul mare alto
e rari uomini, quasi immoti, affondano
o salpano le reti. Con un segno
della mano additavi all'altra sponda
invisibile la tua patria vera.
Poi seguimmo il canale fino alla darsena
della città, lucida di fuliggine,
nella bassura dove s'affondava
una primavera inerte, senza memoria.

E qui dove un'antica vita
si screzia in una dolce
ansietà d'Oriente,
le tue parole iridavano come le scaglie
della triglia moribonda.

La tua irrequietudine mi fa pensare
agli uccelli di passo che urtano ai fari
nelle sere tempestose:
è una tempesta anche la tua dolcezza,
turbina e non appare.
E i suoi riposi sono anche più rari.
Non so come stremata tu resisti
in quel lago
d'indifferenza ch'è il tuo cuore; forse
ti salva un amuleto che tu tieni
vicino alla matita delle labbra,
al piumino, alla lima: un topo bianco
d'avorio; e così esisti!

2

Ormai nella tua Carinzia
di mirti fioriti e di stagni,
china sul bordo sorvegli
la carpa che timida abbocca
o segui sui tigli, tra gl'irti
pinnacoli le accensioni
del vespro e nell'acque un avvampo
di tende da scali e pensioni.

La sera che si protende
sull'umida conca non porta
col palpito dei motori
che gemiti d'oche e un interno
di nivee maioliche dice
allo specchio annerito che ti vide
diversa una storia di errori
imperturbati e la incide
dove la spugna non giunge.

La tua leggenda, Dora!
Ma è scritta già in quegli sguardi
di uomini che hanno fedine
altere e deboli in grandi
ritratti d'oro e ritorna
ad ogni accordo che esprime
l'armonica guasta nell'ora
che abbuia, sempre più tardi.

È scritta là. Il sempreverde
alloro per la cucina
resiste, la voce non muta,
Ravenna è lontana, distilla
veleno una fede feroce.
Che vuole da te? Non si cede
voce, leggenda o destino.
Ma è tardi, sempre più tardi.

(da Le occasioni, 1939)




Berthe Morisot, "Ragazza che si incipria il viso"


"Dora Markus" è una delle poesie più celebri di Eugenio Montale. Il suo fascino sta nella distanza di tempo in cui le sue due parti sono state composte: la prima, che il poeta stesso in una nota all'edizione Einaudi delle "Occasioni" del 1939 dichiara "rimasta allo stato di frammento", risale al 1926 e ci mostra Dora, una austriaca presentatagli da Bobi Bazlen, da una prospettiva esistenziale. Montale ne traccia il ritratto di donna inquieta, esule non solo dalla propria terra ma anche dalla propria vita, il cui cuore è "un lago di indifferenza", e che sembra affidare la propria salvezza all'immagine incantatoria di un portafortuna, quel topolino d'avorio celato nella trousse dei trucchi. Dora è insomma la classica donna montaliana, distante dal mondo fino a incarnare la valenza di nume, il ruolo che rivestirà l'amata Mosca nelle poesie del dopoguerra.
La storia aleggia sullo sfondo, come un'ombra, in questo periodo di relativa calma tra le due guerre mondiali, non è che un presagio, un presentimento insito nei turbamenti del vivere, nei silenzi di Dora, affacciata alla spalletta di quel ponte di Ravenna; è in quella "primavera inerte, senza memoria" grigia e soffocata nella periferia di ciminiere e di fumo.

Passano tredici anni, sull'Europa soffia ormai il vento di un'altra primavera, quella hitleriana. Montale dà "una conclusione, se non un centro" alla poesia. La prospettiva ora è mutata: Dora Markus è soltanto un ricordo, appare in questi inspiegabili disguidi della memoria, è la storia a prendere il sopravvento sulle esistenze; l'inquietudine è per quella bufera che si agita nell'aria del 1939: presto la Germania nazista invaderà la Polonia e un'apocalisse si abbatterà sul mondo intero. "La sera che si protende" sembra indicare proprio l'imminenza della guerra e "il palpito dei motori" è quello degli aerei, dei carri armati pronti a fare fuoco.
Dora deve fare i conti con il suo passato, con le scelte sbagliate che non si possono ormai più cancellare, con gli smacchi del vivere. E deve fare i conti con il presente, che ha portato dalle glorie asburgiche degli antenati al nazismo, a quella "fede feroce". Se nella prima parte la storia era un'ombra grigia sullo sfondo, qui è un immanente colorato di bandiere rosse con la svastica - l'anno prima l'Anschluss aveva unito l'Austria alla Germania: Dora si trova ancora una volta in una sorta di esilio. E già suonano le sirene, crepitano i fucili, si prepara l'orrore dei lager: "Ma è tardi, sempre più tardi".





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LA FRASE DEL GIORNO
La ragione sarà sempre un qualcosa in mancanza di meglio; essa seguirà sempre la conoscenza, che dunque non sarà mai ad essa affidata... (ma io le devo questa osservazione. Orsù, definiamola una polizia dello spirito: spregiata e indispensabile).
TOMMASO LANDOLFI, Des mois




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano. Premio Nobel per la Letteratura 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.



1 commento:

  1. E' - (come sempre) - un'esplorazione ed una sorpresa affascinante e ricca, piacevole e dotta, fare visita al tuo "CantodelleSirene".
    Proprio tale di nome e di fatto, poichè avvolge completamente il lettore nel fascino delle tue proposte, sempre finemente intense ed evocative.
    Si viene così condotti gentilmente per mano dalla tua penna e dalle sue riflessioni, sempre interessanti.
    - (E qui rinnovo complimenti e stima) -

    Luciana
    http://www.comoinpoesia.com

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