domenica 30 giugno 2013

Forse il cuore ci resta

 

SALVATORE QUASIMODO

FORSE IL CUORE

Sprofonderà l’odore acre dei tigli
Nella notte di pioggia. Sarà vano
Il tempo della gioia, la sua furia,
quel suo morso di fulmine che schianta.
Rimane appena aperta l’indolenza,
il ricordo di un gesto, d’una sillaba,
ma come d’un volo lento d’uccelli
fra vapori di nebbia. E ancora attendi,
non so che cosa, mia sperduta; forse
un’ora che decida, che richiami
il principio o la fine: uguale sorte,
ormai. Qui nero il fumo degli incendi
secca ancora la gola. Se lo puoi,
dimentica quel sapore di zolfo
e la paura. Le parole ci stancano,
risalgono da un’acqua lapidata;
forse il cuore ci resta, forse il cuore.

(da Giorno per giorno, Mondadori, 1947)

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È una poesia degli anni bui e tristi della Seconda Guerra mondiale questa di Salvatore Quasimodo (1908-1968): giunge dagli incendi e dalla polvere dei bombardamenti, dallo sconforto che domina l’animo, riecheggia altri suoi celeberrimi versi, “Alle fronde dei salici, per voto, / anche le nostre cetre erano appese, /oscillavano lievi al triste vento” in quel vano orpello delle parole, ormai inaridite. La speranza però non è morta: è nel futuro, è nel cuore di ogni uomo e di ogni donna, è nella coscienza, è nella pietà.

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Milano

MILANO BOMBARDATA, 1943 – FOTOGRAFIA © ALBERTO ALBERTINI

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LA FRASE DEL GIORNO
I filosofi, i nemici naturali dei poeti, e gli schedatori fissi del pensiero critico, affermano che la poesia (e tutte le arti), come le opere della natura, non subiscono mutamenti né attraverso né dopo una guerra. Illusione; perché la guerra muta la vita morale d'un popolo
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SALVATORE QUASIMODO, Il falso e vero verde




Salvatore Quasimodo (Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968), poeta e traduttore italiano, esponente di rilievo dell'ermetismo.  Essenziale ed epigrammatico, ha  temperato gli influssi originari in un linguaggio poeticamente sempre più autonomo, che libera un’intensa sensualità in trepide visioni. Premio Nobel per la letteratura 1959 “per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi”.


sabato 29 giugno 2013

I pensieri nel cuore

 

JOSEPH VON EICHENDORFF

LA SOLITARIA

Se fosse buio, giacerei nel bosco,
nel bosco il mormorio è così dolce,
con il suo manto di astri
lì mi ricopre la notte.
Vengono a me i ruscelli:
che ormai io stia dormendo?
Non dormo, no, gli usignoli
ancora a lungo sento.
Se le cime su di me si piegano,
tutta la notte echeggia.
Sono i pensieri nel cuore, che cantano,
quando nessuno veglia.

(Traduzione di Roberto Fertonani)

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A proposito dei versi di Joseph von Eichendorff (1788-1857), autore della celebre Storia di un fannullone, Guido Davico Bonino parla di una “gioia di canto”' di un “entusiasmo per lo spettacolo trascolorante della natura”: anche in questo componimento, un Lieder adatto ad essere musicato, il poeta tedesco esprime, attraverso una ragazza che veglia perché i pensieri che ha in cuore tumultuano gioiosi, quel sentimento d’amore per la Natura che è tipicamente romantico, così come l’amore per il Bello.

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Munch

EDWARD MUNCH, “SOGNO DI UNA NOTTE D’ESTATE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Tutto quanto è in armonia con te, o mondo, è in armonia anche con me.
MARCO AURELIO, Ricordi




Joseph Karl Benedikt Freiherr von Eichendorff (Castello di Lubowitz, 10 marzo 1788 – Nysa, 26 novembre 1857), poeta, scrittore e drammaturgo tedesco. Rappresentante del secondo romanticismo, le sue liriche raggiungono una leggerezza di canto con toni di umanissima verità. Molti di questi componimenti furono musicati da Franz Schubert.


venerdì 28 giugno 2013

Occhi come stelle

 

GUILLAUME APOLLINAIRE

LE NOSTRE STELLE

La tromba suona e risuona
Suona, si spengono i fuochi.
Il mio povero cuore ti dono
Per uno sguardo dei tuoi begli occhi
Un solo moto della tua persona.

Sono le dieci, tutto è spento,
Ascolto russare la caserma,
Viene dal Nord il vento,
La luna mi fa da lanterna
Grida un cane alla morte il suo lamento.

La notte si consuma lenta lenta,
Rintoccano le ore lentamente
Tu che fai o mia bella indolente
Mentre vegliando il tuo amante
Ti sospira lontana e si tormenta?

E io cerco nel cielo stellato
Dove sono le stelle gemelle -
Mio destino che al tuo è legato
Ma dove sono le nostre stelle?
O cielo, campo di grano incantato!

La notte si consuma dolcemente
Sereno alfine m'addormento.
I tuoi occhi che vegliano il tuo amante
Non sono forse, mia bella indocile,
Le nostre stelle del firmamento?

(da Poèmes à Lou, 1955 – Traduzione di Luciano Luisi)

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Una canzone di guerra, una canzone d’amore questa di Guillaume Apollinaire, una delle tante che il poeta francese dedicò a Louise de Coligny-Châtillon, contessa dalla vita libera con la quale intrecciò una relazione durata poco più di sei mesi con l’intralcio della prima guerra mondiale, nella quale Apollinaire si era immerso da volontario dopo aver ottenuto la cittadinanza. E dunque come un ragazzino romantico o un soldatino di primo pelo, lui trentaquattrenne, si lancia nell’azzardato paragone tra le stelle del cielo e gli occhi dell’amata.

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VINCENT VAN GOGH, “DE STERRENNACHT”

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LA FRASE DEL GIORNO
L’amore è libero, non è sottomesso mai al destino
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GUILLAUME APOLLINAIRE




Wilhelm Albert Włodzimierz Apollinaris de Wąż-Kostrowick (Roma, 26 agosto 1880 - Parigi, 9 novembre 1918), noto con lo pseudonimo di Guillaume Apollinaire, poeta francese sostenitore di una totale libertà formale e di nuovi contenuti frutto dell’indagine dell’inconscio, fu un precursore del Surrealismo. Combattente nella Prima guerra mondiale, fu vittima dell’epidemia di febbre spagnola.


giovedì 27 giugno 2013

Un sassofono rauco

 

CESARE PAVESE

A SOLO, DI SAXOFONO

  Fragorosa sul viale
ecco a un tratto l'orchestra si spegne.
  Sull’orchestra in sordina,
canta spiegato un saxofono rauco.

  Fin la folla si arresta.
Le case indifferenti
gràvano il cielo intorno.

  Vibra la voce barbara.

Ecco che la mia vita
s’è frantumata a terra come un vetro.
La stanchezza che prima la reggeva
è scomparsa nel vortice del suono.
Resta l’anima inutile.
  E le note si afferrano più acute
nell’aria, contorcendosi.

  È la mia voce stessa
che echeggia questa notte.
Nell’anima smarrita
canta alto, altissimo la solitudine
una canzone ubriaca della vita.
La stanchezza fuggita,
non vivo per un attimo che all’urlo
modulato, esultante.
  Tutta l’anima mia
rabbrividisce e trema e s’abbandona
al saxofono rauco.
È una donna in balìa
di un amante, una foglia
dentro il vento, un miracolo,
una musica anch’essa.

  Rapido, troppo rapido l’istante.
La voce sovrumana,
barbara di dolcezza solitaria,
che a sollevarmi il capo,
come un amico, impazziva di gioia,
è scomparsa nel gorgo del frastuono.
  Da ogni parte riscoppiano i fragori
sprizzando nelle luci.

  Io torno a camminare solitario
e quasi m'abbandono.
Dal cielo pesano le case enormi.
E i passanti mi guardano, con occhi
come vuote finestre.

[26 maggio - 5 giugno 1929]

(da Blues della grande città, in Le poesie, Einaudi, 1998)

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“Innumerevoli tentativi hanno preceduto I mari del Sud, cui l’esperienza concomitante di una prosa narrativa, o soltanto discorsiva, toglieva ogni gioia di realizzazione e rivelava nella loro disperante banalità”: è lo stesso Cesare Pavese a stroncare la propria opera poetica, quella scritta prima di Lavorare stanca. Ma, sebbene con i loro limiti, queste poesie rivelano il carattere introspettivo e dubbioso, spesso volubile di Pavese, l’incertezza sui propri scritti e sui propri mezzi che lo caratterizzerà fino alla fine - basta leggere il suo diario, Il mestiere di vivere, per rendersene conto. “Perché tutto quanto ho fatto finora è da ricominciare e così sarà per tutta la mia vita” scriveva nel dicembre 1929 a Ponina Tallone. Una vita come quella raccontata in questa poesia, la sorpresa di istanti felici in una strada di solitudine.

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LEONID AFREMOV, “SAXOPHONIST”

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia, se mai, mi ha insegnato a dominarmi, a raccogliermi, a veder chiaro; la poesia mi ha reso, nel più pratico dei sensi.
CESARE PAVESE, Il mestiere di vivere, 20 aprile 1936




Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 9 settembre 1908 – Torino, 27 agosto 1950), scrittore, poeta, traduttore, saggista e critico letterario italiano. Nato poeta con Lavorare stanca, si è poi dedicato alla narrativa scrivendo romanzi famosissimi: Paesi tuoiLa luna e i falòLa casa in collina. I suoi temi principali sono il mito e la terra.


mercoledì 26 giugno 2013

Il risveglio

 

NÂZIM HIKMET

ANCHE QUESTA MATTINA MI SONO SVEGLIATO

Berlino, 1961

Anche questa mattina mi sono svegliato
e il muro la coperta i vetri la plastica il legno
si son buttati addosso a me alla rinfusa
e la luce d’argento annerito della lampada

mi si è buttato addosso anche un biglietto di tram
e il giallo della parete e tre righe di scritto
e la camera d’albergo e questo paese nemico
e la metà del sogno caduta da questo lato s’è spenta

mi si è buttata addosso la fronte bianca del tempo
e i ricordi più vecchi e la tua assenza nel letto
e la nostra separazione e quello che siamo
mi sono svegliato anche questa mattina
e ti amo.

(da Poesie d’amore, 1965 - Traduzione di Joyce Lussu)

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È la vita che irrompe al mattino distruggendo l’incanto dei sogni la protagonista di questa poesia di Nâzim Hikmet: con la luce dell’alba è la realtà a riprendere possesso, a dominare il mondo con la sua razionalità. L’assenza della donna amata si fa per l'’esule più aspra e dolorosa, la nostalgia più intensa e l'amore più vivo, a testimoniare la bontà della celebre frase di Bussy-Rabutin secondo cui “La lontananza fa all'amore quello che il vento fa al fuoco: spegne il piccolo e scatena il grande”.

 

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CAROLYN HUBBARD-FORD, “CITY IN SHARDS OF LIGHT”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non si è mai lontani abbastanza per trovarsi.
ALESSANDRO BARICCO, Oceano mare




Nâzım Hikmet Ran (Salonicco, 15 gennaio 1902 – Mosca, 3 giugno 1963), poeta, drammaturgo e scrittore turco naturalizzato polacco. Definito "comunista romantico" o "rivoluzionario romantico, è considerato uno dei più importanti poeti turchi dell'epoca moderna. Considerato sovversivo dal regime, scontò 17 anni di carcere prima dell’esilio nei paesi dell’est europeo.


martedì 25 giugno 2013

Uno che canta

 

ROBERT FROST

UN UCCELLETTO IN MINORE

Proprio ho sperato che volasse via,
E non cantasse sempre davanti a casa mia;

Gli ho battuto le mani dal limitare
Quando non l'ho potuto più sopportare.

Mio in parte il torto dev'essere stato.
L’uccelletto non era stonato.

E qualcosa non va, qualcosa manca
In chi vuol far tacere uno che canta.

(da West-running Brook, 1928 - Traduzione di Giovanni Giudici)

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Un uccellino che canta, insistente - magari il tordo “che i solidi tronchi fa risuonare dell’eco” di un’altra poesia di Robert Frost - nel mezzo dell'estate. Ma naturalmente non c’è solo questo dietro i versi del poeta americano: questo uccelletto che canta in minore è un apologo per la libertà e significativo diventa il distico finale, un mea culpa del poeta che in quell'uccellino alla fine ritrova il simbolo del suo stesso fare poesia.

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DIPINTO DI SUSAN BOURDET

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LA FRASE DEL GIORNO
La libertà politica per me non è niente. La regalo a destra e sinistra. Per me voglio tenere solo la libertà del mio materiale: la capacità occasionale di corpo e mente di pescare convenientemente nel grande caos di tutto ciò che ho vissuto.
ROBERT FROST, La figura che una poesia crea




Robert Lee Frost (San Francisco, 26 marzo 1874 – Boston, 29 gennaio 1963), poeta statunitense, vincitore di quattro Premi Pulitzer. Le sue poesie, attraverso la raffigurazione con una notevole padronanza del linguaggio colloquiale della vita rurale del New England all’inizio del ‘900, indagano temi sociali e filosofici. La strada non presa è la sua poesia più celebre.


lunedì 24 giugno 2013

Un falò d’estate

 

GIORGIO CAPRONI

SAN GIOVAMBATTISTA

Tersa per chiari fuochi
festosi, la notte odora
acre, di sugheri arsi
e di fumo.

Intorno a un falò d'estate
imita selvagge grida.
uno stuolo di bimbi.

S'illuminano come esclamate,
ad ogni scoppio di razzo,
le chiare donne sbracciate:
ai balconi.

(Voci e canzoni cancella
la brezza: fra poco il fuoco
si spenge. Ma io sento ancora
fresco sulla mia pelle Il vento
d'una fanciulla passatami a fianco
di corsa).

(da Come un’allegoria, 1936)

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La notte di San Giovanni aveva una grande importanza nelle tradizioni di un’Italia ancora profondamente contadina: con l’accensione di grandi falò si cercava di propiziarsi non solo il raccolto ma anche la vita sociale, visto che un antico proverbio recita “La notte di San Giovanni destina il mosto, i matrimoni, il grano e il granturco”. In questa atmosfera a metà tra la festa religiosa e quella magica – il fuoco per ingraziarsi il sole e per bruciare insieme alle cose vecchie e alle erbe gli spiriti maligni – si inquadra la poesia di Giorgio Caproni, che la racconta con il suo stile tipico, capace di evocare la realtà quasi come una favola.

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falò

FOTOGRAFIA © ALGHERO TURISMO

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LA FRASE DEL GIORNO
Li hanno fatti quest'anno i falò? - chiesi a Cinto. Noi li facevamo sempre. La notte di San Giovanni tutta la collina era accesa. Poca roba, - disse lui. - Lo fanno grosso alla Stazione, ma di qui non si vede. Il Piola dice che una volta ci bruciavano delle fascine. Chissà perché mai, - dissi, - si fanno questi fuochi. Si vede che fa bene alle campagne, - disse Cinto, - le ingrassa
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CESARE PAVESE, La luna e i falò




Giorgio Caproni (Livorno, 7 gennaio 1912 – Roma, 22 gennaio 1990), poeta, critico letterario e traduttore italiano. Partito come preermetico attirato da uno scabro espressionismo, approdò a un ermetismo rivestito di un impressionismo idillico. Nella sua poesia canta soprattutto temi ricorrenti (Genova, la madre e Livorno, il viaggio, il linguaggio), unendo raffinata perizia metrico-stilistica a immediatezza e chiarezza di sentimento.


domenica 23 giugno 2013

Ora è un tempo che non mi basta

 

LIBERO DE LIBERO

ECLISSE, XXXIII

Ora è un tempo che non mi basta
La tua fronte non è più cielo,
da quel mio cielo sole non cade,
da quel sole luce non prende
e colore il mio giorno.
A queste mani non sono più erba
i tuoi freschi capelli nella siepe
ove si andava per tenere strade
in fondo al bosco degli occhi.
Ora è un tempo che non dona pietà.

(da Eclisse, 1940)

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È dolorosamente bella questa poesia di Libero De Libero: dolorosa certo perché protagonista è un’assenza cui il poeta non sa trovare consolazione, in un presente che se ha la certezza della memoria tuttavia manca della speranza del futuro tanto da divenire un crudele tormento – fu Giuseppe Ungaretti a sottolineare in una lettera scritta all’autore che “C’è nella sua poesia qualche cosa che tormenta e nello stesso tempo che trasfigura, espresso, nei suoi momenti felici, come non ho ancora sentito da altri”. C’è sotto traccia in De Libero il lavorio continuo del ricordo, perché “eri appena una voce, / ora sei l’ombra mia”.

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JACK VETTRIANO, “HEARTBREAK HOTEL”

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LA FRASE DEL GIORNO
L'assenza dell'essere amato lascia dietro di sé un lento veleno che si chiama oblio
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CLAUDE AVELINE, E tutto il resto è nulla




Libero De Libero (Fondi, 10 settembre 1903 – Roma, 4 luglio 1981), poeta, critico d'arte e narratore italiano. Gli Anni ‘30 lo videro al Caffè Aragno di Roma con Vincenzo Cardarelli, partecipe della  scuola pittorica di via Cavour. La sua poesia si inserisce in un ermetismo legato alla terra, al vigore del reale.


sabato 22 giugno 2013

Le parole non si attaccano

 

ANAHÍ LAZZARONI

SICCITÀ POETICA

Le parole non si attaccano alla carta,
volano sparse, si perdono nell’aria.
Vanno come matte da legare,
come puttane
all’epoca dei conventi.
Soffrono di demenza.
Rinnegano.

Finché un bel giorno
si fermeranno all’improvviso.

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L’impossibilità di scrivere compare perché non sono per nulla prolifica e questo mi infastidisce, mi intimidisce” confessò nel 2009 in un’intervista a Teína la poetessa argentina Anahí Lazzaroni parlando dei temi ricorrenti nei suoi versi. Eccola qui allora, distesa sulla carta, sullo schermo di un computer questa sua siccità poetica, questa difficoltà di tramutare in scritto l’emozione poetica, come se fossero le parole stesse a rifiutare l’incasellamento.

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COLLAGE © MEG HITCHCOCK

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LA FRASE DEL GIORNO
Quando ci si rifiuta di fare del lirismo, riempire una pagina diventa un supplizio: a che serve scrivere per dire esattamente quello che si aveva da dire
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EMIL CIORAN, L’inconveniente di essere nati




Anahí Lazzaroni (La Plata, 30 agosto 1957 ),  poetessa argentina. Fin dalla sua infanzia ha vissuto a Ushuaia, nella Terra del Fuoco, riflettendo nei suoi testi tutto ciò che l'affascina in quella terra estrema. Dal 1986 al 1994 ha co-diretto la rivista Aldea. Collabora a giornali e pubblicazioni nel Paese, all'estero e su Internet.

venerdì 21 giugno 2013

Due poesie per l'estate

 

Due poesie per l’estate che comincia oggi con il solstizio e che ci porterà a vivere una stagione di sole e mare e montagne, di riposo e di afa, di passione e di belle giornate. L’estate che racconta Derek Walcott (Castries, 1930),  il Premio Nobel di Saint Lucia, piena di limoni e di luce, con l'odore di salso e la dolcezza  infinita dei crepuscoli. E l'estate padana di Attilio Bertolucci (1911-2000), con il fieno nei campi e il tramonto infuocato. In entrambe un’immagine di donna che aleggia sensuale ed elegante.

 

DEREK WALCOTT

BLEECKER STREET, ESTATE

L’estate per la prosa e i limoni, per la nudità e il languore,
per l'eterna indolenza del ritorno immaginato,
per i rari flauti e i piedi scalzi, e la stanza da letto in agosto
dalle lenzuola arruffate e il sale della domenica, ah violini!

Quando premo i crepuscoli estivi insieme, è
un mese di fisarmoniche di strada e spruzzatori
che adagiano la polvere, piccole ombre che fuggono da me.

È musica che si apre e si chiude, Italia mia, su Bleecker,
ciao
, Antonio, e le grida d’acqua dei bambini
che strappano il cielo rosa in rivoli di carta;
è il crepuscolo nelle narici e nell’odore dell’acqua
lungo strade imbrattate che non ti portano all’acqua,
e isole e limoni raccolti nella mente.

Laggiù c’è l’Hudson, in fiamme come il mare.
Ti spoglierei nell’afa estiva, e riderei e asciugherei
la tua pelle bagnata se mi venissi a trovare.

(da In a green night, 1962 -Traduzione di Matteo Campagnoli)

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ATTILIO BERTOLUCCI

DIARIO

I

Al soffio del tramonto
indora il cielo estivo
calda l’aria si posa
sulle tue mani.

Riluce il fieno sparso
sin presso le rose
lieto già del serale
effondersi dei grilli.

Tornata di lontano,
sotto il panama bianco
celi l’animazione
e la stanchezza degli occhi.

II

Finché veniva la luna
con la sua lucerna
ad ammonirci di tornare,
bruna ormai l'aria
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(da Lettera da casa, 1951)

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Mad dogs

JACK VETTRIANO, “MAD DOGS”

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LA FRASE DEL GIORNO
Distesa estate, / stagione dei densi climi / dei grandi mattini / dell’albe senza rumore.
VINCENZO CARDARELLI, Poesie




Derek Walcott (Castries, 23 gennaio 1930), poeta e scrittore di Saint Lucia, premio Nobel per la letteratura nel 1992. Cultore appassionato di letterature classiche antiche, ha espresso con singolare vigore il senso di privazione di una propria storia, peculiare dei caraibici di ascendenza africana.

giovedì 20 giugno 2013

Il cafarnao delle carni

 

EUGENIO MONTALE

SULLA SPIAGGIA

Ora il chiarore si fa più diffuso.
Ancora chiusi gli ultimi ombrelloni.
Poi appare qualcuno che trascina
il suo gommone.
La venditrice d'erbe viene e affonda
sulla rena la sua mole, un groviglio
di vene varicose. È un monolito
diroccato dai picchi di Lunigiana.
Quando mi parla resto senza fiato,
le sue parole sono la Verità.
Ma tra poco sarà qui il cafarnao
delle carni, dei gesti e delle barbe.
Tutti i lemuri umani avranno al collo
croci e catene. Quanta religione.
E c'è chi s'era illuso di ripetere
l'exploit di Crusoe!

(da Diario del '71 e del '72, Mondadori, 1973)

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"Ritirata sul margine della vita, essa ascolta soltanto la propria eco nelle rifrazioni che questa le rimanda": così scriveva Giorgio Zampa di Diario del ’71 e del ’72, raccolta da cui è tratta questa poesia di Eugenio Montale, scelta con altri testi per indicare una chiave di lettura nella traccia per la maturità 2013 intitolata al rapporto tra individuo e società di massa. Siamo ormai sul finire dell'agosto 1972 - la poesia è datata 30 - e Montale in una spiaggia versiliana cerca la tranquillità dell’alba con uno snobismo che gli deriva non solo dall’età ma da uno stile di vita che sempre lo ha contraddistinto. In quel paesaggio semideserto scrive il suo "verbale" di vita, ciò che è diventata la poesia per lui da Satura in poi. Se la fruttivendola ambulante che arriva con la sua cesta di erbe e verità ancestrali non nuoce alla sua illusione di essere un novello Robinson Crusoe su un’isola deserta, certo non sarà gradita al poeta la massificazione pop che riempirà la spiaggia quando il sole sarà già alto nel cielo.

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Alba a Lignano Sabbiadoro

FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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LA FRASE DEL GIORNO
La società di massa si vede ad occhio nudo e si sperimenta nella vita quotidiana: le strade sono affollate, così come i mezzi di trasporto, le spiagge, i locali pubblici e via discorrendo. La nostra vita quotidiana si svolge immersa nella massa, ed è sempre più pesantemente condizionata da quest'ultima. La massa non è dunque un concetto astratto di cui si occupino specialisti di saperi esoterici, bensì una realtà esperita quotidianamente, spesso dolorosamente, sempre faticosamente, dall'uomo della strada.
MASSIMO CORSALE, L’autunno del Leviatano




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.

mercoledì 19 giugno 2013

Terrazze a sera

 

GIUSEPPE VILLAROEL

APPRODO

Terrazze a sera, ove l'estivo cielo
evapora e si estingue al nuovo albore
della nascente luna. Dagli interni
traspira il senso dell'umano affanno
e rèmiga la vita, a lumi spenti,
entro le case, come nei sopiti
porti, l'approdo delle barche a notte.

(da Ingresso nella notte, 1943)

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C'è un'ora in cui tutto sembra calmarsi, la frenesia e gli affanni del giorno si stemperano in una placida tranquillità. È quel momento in cui la sera si trasforma in notte e ci si appresta ad andare a dormire. Questa è l'atmosfera che coglie il poeta catanese Giuseppe Villaroel: l'ora in cui la vita fa ritorno in porto come le barche, a luci spente.

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GEORGE BIRRELL, “SMUGGLERS MOON”

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LA FRASE DEL GIORNO
C'è nel giorno un'ora serena che si potrebbe definire assenza di rumore, è l'ora serena del crepuscolo.
VICTOR HUGO, Il Novantatré




Giuseppe Villaroel (Catania, 26 ottobre 1889 – Roma, 10 luglio 1965), poeta, giornalista, scrittore e critico letterario italiano. Da un originario crepuscolarismo, la sua opera è venuta svolgendosi in poesia di ispirazione amorosa, dai modi e dai toni sempre più contenuti e controllati. Ha scritto anche romanzi, novelle, saggi critici, e racconti per ragazzi.


martedì 18 giugno 2013

Il poeta è una nuvola

 

DARIA MENICANTI

POETA

In giro me ne vado come un cirro
silenzioso color ombra. Mi piace
stare alto sui tetti a galleggiare
guardando. Io mi sento il palloncino
fuggito dal suo grappolo: una cosa
ironica leggera e all'apparenza
felice.

(da Poesie per un passante, Mondadori, 1978)

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Daria Menicanti, poetessa piacentina, ci mostra qui la sua idea dell'essere poeti, ovvero quella leggerezza che consente di rimanere sospesi sulle cose per osservarle da un punto di vista differente, per coglierne l'essenza con una sensibilità quasi rivelatrice. Il poeta come una nuvola non appariscente, come un palloncino che vola libero nell'aria: un'immagine che può sembrare felice, ma forse non lo è...

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Sky balloon

VLADIMIR KUSH, “SKY BALLOON”

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LA FRASE DEL GIORNO
Vivere è tutti i giorni cominciare.
DARIA MENICANTI, Poesie per un passante




Daria Menicanti (Piacenza, 1914 – Mozzate, 4 gennaio 1995), poetessa, insegnante e traduttrice italiana. In lei si mescolano il registro sarcastico e ironico e quello più sottile della malinconia. Per Lalla Romano la sua era “una voce nuova, moderna e classica, per niente alla moda, ma libera e anche audace”.


lunedì 17 giugno 2013

Il fugace momento dell’amore

 

ÁNGEL GONZÁLEZ

OGNI AMORE È EFFIMERO

Nessuna era bella come te
in quel fugace momento in cui ti ho amata:
                                            tutta la mia vita.

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Una poesia davvero concisa, questa dello spagnolo Ángel González: tre versi più il titolo. Ed è la dimostrazione di una tesi che sembra contraddire il tempo e la sua fisica: l’ossimoro di un momento fugace che invece di bruciarsi nell’istante arriva a ricoprire il lungo periodo di una vita, un amore che invece di consumarsi come una candela resta sempre vivido nella sua fiamma. Illusione? Romanticismo? Non lo so, ma mi piace pensare che l’amore eterno – eterno almeno nella misura umana – sia di questa terra.

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Shimmering Light

ANDREW ATROSHENKO, “SHIMMERING LIGHT”

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LA FRASE DEL GIORNO
Esiste soltanto un amore eterno, ed è quello che ognuno si porta dentro come bisogno.
GIOVANNI SORIANO, Finché c’è vita non c’è speranza




Ángel González Muñiz (Oviedo, 6 settembre 1925 – Madrid, 12  gennaio 2008), poeta spagnolo della Generazione del ‘50. Premio Principe delle Asturie nel 1985 e Premio Regina Sofia nel 1996. La sua opera mescola intimismo e poesia sociale con un tocco ironico. Il passare del tempo, l’amore e la civilizzazione sono i suoi temi ricorrenti, giocati su toni di un’ottimistica malinconia.


domenica 16 giugno 2013

A me pareva il mare

 

ANTONIA POZZI

AMORE DI LONTANANZA

Ricordo che, quand'ero nella casa
della mia mamma, in mezzo alla pianura,
avevo una finestra che guardava
sui prati; in fondo, l'argine boscoso
nascondeva il Ticino e, ancor più in fondo,
c'era una striscia scura di colline.
Io allora non avevo visto il mare
che una sol volta, ma ne conservavo
un'aspra nostalgia da innamorata.
Verso sera fissavo l'orizzonte;
socchiudevo un po' gli occhi; accarezzavo
i contorni e i colori tra le ciglia:
e la striscia dei colli si spianava,
tremula, azzurra: a me pareva il mare
e mi piaceva più del mare vero.

Milano, 24 aprile 1929

(da Parole, 1939)

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Qualche sera fa stavo guardando uno dei pochi canali televisivi ancora degni di essere visti, Rai 5, e c’era una puntata di Cool Tour Speciale Poesia dedicata alla poetessa milanese Antonia Pozzi. Tra le poesie lette c’era questa, una delle prime da lei scritte, quando aveva da poco compiuto diciassette anni, riferita a un passaggio nella casa materna di Zelata di Bereguardo: forse ancora un po’ acerba, ma già viva di quelle immagini finali che disegnano un’illusione di mare, che fanno un’illusione ancora più bella della realtà. Come i sogni, come i desideri…

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Ticino

IL TICINO A BEREGUARDO - FOTOGRAFIA © CINEMAGORA

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LA FRASE DEL GIORNO
So che forse noi siamo creature / nate tutte da un'ansia eterna: il mare; / e che la vita, quando fruga e strazia / l'essere nostro, spreme dal profondo / un po' del sale da cui fummo tratte.
ANTONIA POZZI, Parole




Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 – 3 dicembre 1938), poetessa italiana. Laureatasi in Filologia con una tesi su Flaubert, si tolse la vita dopo una contrastata storia d’amore. Il suo diario poetico Parole fu pubblicato postumo, nel 1939: composto a partire dai diciassette anni, riflette un'amara e inquieta sensibilità in cui si avverte l'influsso della lirica di Rilke.


sabato 15 giugno 2013

La strada

 

LEAH GOLDBERG

STROFE IN FONDO ALLA VIA, 1

La strada è bellissima - disse il ragazzo
La strada è assai faticosa - disse il giovane
La strada è molto lunga - disse l'uomo
Il vecchio si adagiò sul ciglio della strada.

Un tramonto d'oro e di rubino gli colora la canizie
L’erba brilla ai suoi piedi, rugiada della sera
L’ultimo uccello del giorno canticchia sopra la sua testa:
ti ricordi ancora quanto era bella, faticosa e lunga, la strada?

(da Antologia, 1970 - Traduzione di Sarah  Kaminski ed Elena Loewenthal)

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È una favola sul tempo, questa della poetessa israeliana di natali prussiani Leah Goldberg (1911-1970): rievoca antichissime riflessioni, probabilmente ataviche e connaturate all’umanità. Versi che riecheggiano il celebre indovinello posto dalla Sfinge a Edipo - Qual è quell’essere che al mattino viaggia a quattro zampe, di giorno con due zampe e di sera con tre? - per rappresentare quella che è la nostra vita con tutte le speranze dell’esuberante gioventù, con la presa di coscienza delle difficoltà che incontriamo sul nostro cammino fino alla stanchezza della vecchiaia. Noi tutti siamo quel ragazzo che diventa un giovane adulto e poi un uomo e poi un anziano. La cosa più interessante è che incarniamo in noi tutte quelle fasi e abbiamo memoria delle speranze del ragazzo, delle vie intraprese o abbandonate dal giovane, delle azioni dell'uomo. Non ci serve nemmeno guardare indietro su quella strada, perché quella strada è anch’essa dentro di noi.

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FOTOGRAFIA © FLOYD HOLDMAN

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LA FRASE DEL GIORNO
Di memorie d’amore / gli anni hanno adornato il mio viso / segnandomi i capelli di lievi filigrane grigie: / son diventata così bella.
LEAH GOLDBERG




Leah Goldberg o Lea Goldberg (Kaliningrad, Lituania, 29 maggio 1911 – Gerusalemme, 15 gennaio 1970), poetessa, scrittrice, drammaturga e traduttrice di lingua ebraica. Nel 1935 emigrò nel Mandato britannico della Palestina. Dal 1954 insegnò all’università Ebraica di Gerusalemme. Padroneggiava sette lingue, e tradusse dal russo, dal tedesco e dall’italiano.


venerdì 14 giugno 2013

Se ci fosse il mare

 

GIORGIO CAPRONI

ALBARO

Se al crepuscolo, almeno,
ci fosse, dietro i vetri, il mare…
Amore…
Tremore
in trasparenza…
Se almeno
questo fosse il rumore
del mare…
Non
lo sopporto più il rumore
della storia…
Vento
afono…
Glissando…
Sparire
come il giorno che muore
dietro i vetri…
Il mare…
Il mare in luogo della storia…
Oh, amore.

(da Il franco cacciatore, Garzanti, 1982)

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“Non lo sopporto più il rumore della storia”: se Giorgio Caproni lo diceva nel 1982, a maggior ragione adesso, in questi tempi grami di crisi economica ed esistenziale, in cui la politica si trasforma in un vuoto esercizio di insulti e di sotterfugi, lo possiamo dire tutti quanti. E, come Caproni, sognare la tranquillità del mare al crepuscolo, la sua bellezza dolcissima e malinconica come un anestetico contro le brutture del mondo che ci piove in casa attraverso i telegiornali e le notizie mediate da Internet.

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PAM CARTER, “RED CUILLIN”

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LA FRASE DEL GIORNO
Di fronte al mare la felicità è un'idea semplice.
JEAN-CLAUDE IZZO, Chourmo




Giorgio Caproni (Livorno, 7 gennaio 1912 – Roma, 22 gennaio 1990), poeta, critico letterario e traduttore italiano. Partito come preermetico attirato da uno scabro espressionismo, approdò a un ermetismo rivestito di un impressionismo idillico. Nella sua poesia canta soprattutto temi ricorrenti (Genova, la madre e Livorno, il viaggio, il linguaggio), unendo raffinata perizia metrico-stilistica a immediatezza e chiarezza di sentimento.


giovedì 13 giugno 2013

La statua di Goya

 

LAWRENCE FERLINGHETTI

GOYA E IL SONNO DELLA RAGIONE

La scura statua di pietra di Goya
       sta tra gli alberi
            all'entrata laterale del
                   Museo del Prado
Indossa un lungo pastrano
    e ha in mano un alto cappello di castoro
Più grande del naturale
                 avanza risoluto a larghi passi
        su un piedistallo in cima a
                 un basso rilievo su quattro lati
        scolpito nella bianca pietra
                           sul quale sono raffigurate
                                     varie figure in lotta
                           della sua scandalosa collezione
                                                  di umani e non umani
                           alla base è inciso
                                    el sueño de la razón
                                            produce monstruos
Un uomo di pietra dorme o piange
                                    proprio sopra i mostri
                  con pipistrelli alati
                         attorno a lui
Il sole della tarda mattinata
                                 scintilla da Goya
          e le ombre delle foglie
                                      delle piante d'acacia
                             cadono su di lui
                                     come se le foglie stesse
                                          stessero cadendo
                                            (Ma non cadono)
Studio il suo volto
per qualche piccolo cenno di riconoscimento
ma il suo lungo sguardo duro
                                  mi passa oltre

La Ragione dorme sotto di lui
                 ma sopra
                              contro l'immensità azzurra del cielo
          ogni cosa è intensamente sveglia
                                nell'immobile
                                     e atroce trasparenza
                                         del suo sguardo lontano.

(da Questi sono i miei fiumi, 1993 – Traduzione di Lucia Cucciarelli)

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Il sonno della ragione genera mostri è una celebre incisione di Francisco Goya: un uomo addormentato attorno al quale volteggiano sotto forma di uccelli notturni i suoi incubi. Ed è proprio quell’opera, insieme alla Maja desnuda e ad altre opere del pittore spagnolo a formare la base del monumento a Goya posto davanti al Museo del Prado di Madrid, dal quale è colpito il poeta americano della Beat Generation Lawrence Ferlinghetti: cerca di leggervi qualcosa, cerca di andare oltre quei mostri di marmo, quei protagonisti di celebri dipinti, ma con effetto quasi da film di Woody Allen trova soltanto la straordinaria e viva luce di Madrid.

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MADRID, MONUMENTO A GOYA © ANNIE DALBÉRA

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LA FRASE DEL GIORNO
La fantasia, isolata dalla ragione, genera soltanto mostri impossibili. Unita ad essa, invece, è la madre dell’arte e fonte dei suoi sentimenti
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FRANCISCO GOYA




Lawrence Ferlinghetti (Yonkers, New York, 24 marzo 1919), poeta ed editore statunitense. Nel 1955 fondò la City lights rocket bookshop a San Francisco che divenne il centro culturale del movimento beat. Parte della sua poesia è di protesta politica e si pone in opposizione alla violenza. La sua opera, pur lirica, è caratterizzata da un vivo senso dello humour e della satira.


mercoledì 12 giugno 2013

Ogni tanto vi è un fiore

 

ÁNGELA FIGUERA AYMERICH

SIAMO DI TROPPO

È così pieno il mondo. Terribilmente pieno.
Di montagne, di piante, di caserme e officine.
Di case con vicini e di bianchi ospedali.

(Ogni tanto vi è un fiore. Non reciderlo, amico.
Qualche volta dei fiumi come vene smarrite).

Quanti treni, aerei, carceri, torpediniere,
motori e banche e cinema e osterie.
Sale operatorie.

Tante graziose stelle e insegne luminose.
(Cognac Barbier, Calzature Eureka e altre ancora).

(E poi anche automobili veloci e più belle
di arcangeli d'acciaio con le ali piegate).

Donne esultanti. (Rouge aux lèvres. Sigarette).
E bimbi che singhiozzano dietro le pareti,
la madre accanto dorme con una pietra al collo.
E bebè custoditi in lettini cromati,
ben pasciuti fra trine e latte condensato.
Dolciastre zitellone col loro cagnolino.

Ragazze dallo sguardo divinamente ottuso.
E biondi adolescenti cui strani desideri
fanno rizzare il pelo.

Il mondo, soprattutto, di uomini è pieno.
Quante mani superflue, camicie rappezzate,
scarpe sdrucite che lambiscono gli asfalti.
Quanti occhi e quante bocche appostate voraci.
Quanti cervelli bianchi e pensieri come pesci
rotanti fra benefici cachet di aspirina.
Per non parlar dei dotti. Quegli strazianti dotti
che vegliano giocando con oscure parole:
Ciclotrone, supersonico, cibernetica e altre.

È così pieno il mondo, ch’io, vi assicuro, amici,
non saprei dove mettermi.
Non so se avrò mai posto.
Son di troppo i poeti.

(da Obras completas, 1986 - Traduzione di Pablo Luis Ávila e Giancarlo Depretis)

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C’è di tutto nel mondo e ne fa un catalogo la poetessa basca Ángela Figueira Aymerich: dai militari alle vamp, dagli straccioni agli scienziati passando per madri, bambini e ragazzi. Un mondo di oggetti e di luoghi, di carceri e ospedali, di macchine da guerra e da lavoro, di fiumi e di montagne, di città e banche dove forse non c’è posto per i poeti. Forse... Perché se la Figuera Aymerich ritiene che i poeti non siano in grado di modificare la realtà, tuttavia la speranza è abilmente nascosta in questi versi: è in “quel fiore” che ogni tanto compare, il non reciderlo è la poesia.

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FOTOGRAFIA © TAMMY VITALE

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LA FRASE DEL GIORNO
Vigile e solitario, insonne e sonnambulo, / il poeta mantiene l’insicuro equilibrio.
ÁNGELA FIGUERA AYMERICH




Ángela Figuera Aymerich (Bilbao, 30 ottobre 1902 – Madrid, 2 aprile 1984),  scrittrice spagnola, rappresentante della cosiddetta poesia senza radici della prima generazione spagnola del dopoguerra. Dall'attaccamento al quotidiano e al paesaggio degli esordi è passata ad una visione più impegnata del mondo sviluppando la sua fase di poesia sociale, definita "esistenzialismo solidale".


martedì 11 giugno 2013

Un ciuffo d’erba

 

EUGÈNE GUILLEVIC

NON È DIFFICILE

Non è difficile

In un ciuffo d’erba
Vedere un incendio
In cui si esaltano cattedrali,

Vedere un fiume che s’affretta
Per salvarle.

Non difficile
Vederci fanciulle nude
Fare uno sberleffo alle cattedrali
E danzare sul fiume
Che canta l’incendio,

Vederci l’esercito arrivare
Con tutti i carri in faville
Per, sul dorso del fiume,
Proclamare la vittoria.

Ma vedere il ciuffo d’erba.

(da Inclus, 1993 -Traduzione di Sara Arena)

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Non è difficile andare oltre la realtà, dice il poeta francese Eugène Guillevic, abbandonarsi alla fantasia, all'immaginazione. Quello che è difficile è accorgersi della realtà, penetrare il mistero delle cose, andare dritti all'essenza delle cose per raggiungere l'armonia con il mondo che ci circonda, “essere presente con le cose / come la luce che le impone”.

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FOTOGRAFIA © DIRK WÜSTENHAGEN

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LA FRASE DEL GIORNO
Sono riuscito a mettere / Un po’ d’ordine in me stesso. / Tendo a piacermi.
EUGÈNE GUILLEVIC, Euclidiennes




Eugène Guillevic (Carnac, 5 agosto 1907 – Parigi, 19 marzo 1997) è stato un poeta francese. Pubblicò nel 1942 la sua prima opera, Terraqué, seguita da altre innumerevoli raccolte poetiche che ne fecero uno dei più grandi poeti francesi della seconda metà del XX secolo. Il suo stile è irregolare e conciso, spesso portatore di verità lapalissiane e contenente sempre un messaggio morale di fratellanza e rispetto.


lunedì 10 giugno 2013

Sylvia e Ted

 

SYLVIA PLATH

LA RIVALE

Se sorridesse, la luna somiglierebbe a te.
Tu fai lo stesso effetto:
Di un qualcosa di bello ma che annichilisce.
Tutti e due siete dei grandi scroccatori.
La sua bocca a O si accora sul mondo; la tua

Non fa una piega, tu pietrifichi ogni cosa.
Guardo, c’è un mausoleo; eccoti qui che picchietti
Il marmo del tavolino, cerchi le sigarette,
Sprezzante come una donna, ma non così nervoso,
e muori dalla voglia di dire impertinenze.

Anche la luna i suoi sudditi umilia,
Ma di giorno è ridicola.
I tuoi malumori, d’altra parte,
Arrivano per posta amorosamente regolari,
Bianchi e vani, espansivi come il gas.

Non c’è un giorno al riparo da notizie di te,
Magari a spasso in Africa, ma pensando a me.

(da Ariel, 1965)

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Addentriamoci ancora nella dolorosa vita di Sylvia Plath, poetessa statunitense che pose fine ai suoi giorni di psicosi e depressione infilando la testa nel forno a gas. Nelle poesie di Ariel, scritte furiosamente nei suoi ultimi mesi, mette a nudo le sue ansie, i suoi dilemmi, le sue preoccupazioni e i suoi deliri con lo stile confidenziale appreso dal suo maestro Robert Lowell, che le definì “un’autobiografia febbricitante”, e una dichiarata influenza di Anne Sexton. La rivale di questi versi è non solo la luna, ma anche l’ex marito Ted Hughes, sposato nel 1956 e dal quale si separò nel 1961, dopo la nascita del secondo figlio, quando lui iniziò una relazione con Assia Wevill, moglie di un amico poeta. Curiosamente, anche Assia, perseguitata dal ricordo di Sylvia, nel 1969 si suicidò nello stesso modo. 

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TED HUGHES E SYLVIA PLATH © THE AUSTRALIAN

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LA FRASE DEL GIORNO
In fin dei conti si tradisce solo ciò che si ama
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GUNTER GRASS, Il rombo




Sylvia Plath (Boston, Massachusetts, 27 ottobre 1932 – Londra, 11 febbraio 1963),  poetessa e scrittrice statunitense. Moglie del poeta Ted Hughes, clinicamente depressa, morì suicida a trent’anni. La sua è poesia “confessionale”, ispirata al vissuto e ai traumi personali.  Tra le sue opere, oltre alle raccolte Il colossoPapaveri a luglio e Ariel anche il romanzo La campana di vetro.

domenica 9 giugno 2013

La sala di ristoro

 

ALFONSO GATTO

VERSI PROVENZALI

La sala di ristoro
col sole sui parati
e la tavola bianca
più bianca col mazzetto
dei suoi fiori di campo,
o vecchia patria, stampo
di poveri soldati,
o vecchia patria, tetto
d’azzurro, mi decòro
col timido sorriso
che finge ogni ritratto
ventilato dall’aria.
Più verde nel piatto
grandeggia solitaria
la mela del pittore.
Il coltello è l’amore.

(da Osteria flegrea, Mondadori, 1962)

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Forse è un bisogno di geometria, un passare e ripassare i contorni delle cose per spiccarne l’esattezza”: così Alfonso Gatto scriveva della poesia. Ed è vero ancora di più per la sua di poesia, che prende vita molto spesso dalle situazioni di ogni giorno, che parte dal minimale per raggiungere l’arte, come in questa descrizione di una tavola arredata nel tipico stile in un ristorante della Provenza: sembra di vederla, come se fosse un dipinto…

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PIET BEKAERT, “BINING TABLE, EARLY SUMMER”

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LA FRASE DEL GIORNO
Un poeta, se è tale, si coglie sempre a tradimento, nelle condizioni più indirette di sguardo, più inaccessibili.

ALFONSO GATTO, La Fiera Letteraria, 25 dicembre 1955




Alfonso Gatto (Salerno, 17 luglio 1909 – Orbetello, 8 marzo 1976), poeta e scrittore italiano. Ermetico, ma di confine, giornalista e pittore, insegnante di Letteratura all'Accademia di Belle Arti, collaboratore di “Campo di Marte”, la sua poesia è caratterizzata da un senso di morte che si intreccia al vivere.


sabato 8 giugno 2013

La musica dei miei braccialetti

 

JUANA DE IBARBOUROU

CANZONE DEL DESIDERIO DI GIUBILO

Andremo per mari mai navigati
A pescare i rossi pesciolini dell’allegria.

Quando mi sentirai ridere, amore taciturno,
Crederai di ascoltare la musica dei miei braccialetti sottili.
O penserai che il vento, a cavalcioni sulla prua,
Si è messo a canticchiare una gioiosa canzone di marinai.

E nelle tue pupille erranti non si rifletterà ancora
La schiuma sconosciuta dei miei denti
Fra il corallo appena lavato delle labbra fresche.

Siccome non sai che so ridere, amore singhiozzante,
Rimarrai con gli occhi fissi sull'acqua.
A evocare uccelli di isole remote
O brevi canzoni chiare.

E lo stupore ti metterà in bocca
Il ronzio di tutte le parole mai dette
Quando capirai che ho gettato al porto del giubilo
La nostra notturna ebbrezza d’esser tristi.

(da La rosa dei venti, 1931 - Traduzione di Vittorio Martinetto)

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La poesia largamente simbolista dell’uruguaiana Juana de Ibarbourou vive per ampi tratti delle impressioni del sogno: “Prendi la direzione del mio vascello / Tu che notte dopo notte percorri / Le rotte fedeli del mio sogno” si legge in un’altra lirica di questa raccolta. E onirica è tutta l’atmosfera, pervasa da un sentore di mare, da un tintinnare leggero, da un suono indistinto e dolcissimo che il “timoniere” del sogno di Juana non riesce ancora a cogliere.

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MANIFESTO DI HALOUZE

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LA FRASE DEL GIORNO
Mordi le foglie tenere dei minuti che non rifioriscono, / Formica rossa del giorno lento.
JUANA DE IBARBOUROU, La rosa dei venti




Juana de Ibarbourou, pseudonimo di Juanita Fernández Morales (Melo, 8 marzo 1895 – Montevideo, 15 luglio 1979), poetessa e scrittrice uruguaiana. La sua poesia è caratterizzata da una diffusa sensualità, una grande sensibilità, gioia, ottimismo e da elementi modernisti, simbolisti, elegiaci, grazie ai quali trattò del mondo della natura, della società e del popolo americano, attingendo a piene mani dalla mitologia.