sabato 5 febbraio 2011

Con me e con gli alpini


Piero Jahier aveva una grande serietà morale che gli derivava dall’educazione religiosa – suo padre era un pastore valdese e lui stesso aveva studiato teologia alla facoltà valdese di Firenze. Questo suo rigorismo diventa solidarietà con i popoli oppressi e si trasforma in un impegno civile che lo porterà a partecipare come interventista alla Prima guerra mondiale. Il contatto con i contadini e con i montanari che si trovano a soffrire con lui nelle trincee gli suscitano un’accorata solidarietà per questi poveracci di cui la Patria si ricorda soltanto quando servono allo scopo, quando diventano carne da macello da mandare in prima linea. È questa comunanza, un allargamento della sua umanità che permea le pagine di Con me e con gli alpini, edito nel 1919 ma scritto nel 1916: Jahier riscopre sotto i panni grigioverdi del soldato il bracciante, l’emigrante, il boscaiolo, entra in contatto con quelle vite abituate a una lotta quotidiana contro la fame e la miseria, ne conosce l’analfabetismo che li mortifica. E ne trae un atto d’accusa contro l’altra Italia, quella che li sfrutta e li tratta da sudditi più che da cittadini. Il suo dire diventa così aspro, a scatti; le parti in prosa si alternano a quelle in poesia, le poesie stesse mischiano versi e prosa, si interrompono, riprendono, significano la pietà, la commozione, il rancore, lo sdegno.

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SILENZIO


Tutto il giorno questo scansarsi reverente,
tutto il giorno questi lunghi saluti:
tre passi prima la mano alla visiera,
quattro passi durante lo sguardo fitto in cuore.
E chi sono io, superiore?
Questi saluti chi li ha meritati?
Ma la sera, giornata finita,
traversando i cortili annerati
son io che sull'attenti, rigido,
la mano alla tesa
tutti e ciascuno
per questa notte e per questa vita
vi saluto, miei soldati.

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GIORNI


che la minima buona azione
vale la più bella poesia.


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DIALETTO


Bisogna farli parlare.
Non la risposta alle interrogazioni, ma quello che sentono e dicon tra loro è prezioso sapere.
Mi volto alle parole più concitate di qualche gruppo e provo a chiedere: cosa? ma sorridono e si ritirano rispettosi.
Bisogna imparare il dialetto, unica lingua dei loro pensieri.
Far presto a imparare questo dialetto, anzi lingua veneta, così armoniosa e sensitiva.
Io che vorrei sapere tutti i dialetti d'Italia, anziché il dialetto toscano dei letterati.
Ogni dialetto rappresenta una terra e un sangue che deve trovar luogo così nella patria come nella lingua italiana.
E che potenza e che varietà di creazione i dialetti di questo popolo ramingo che ha un piede sui ghiacci dell’Alpi e uno sulle lave dei vulcani!
Unità della lingua vuol dir questa contribuzione.

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LO GRIDERÒ


perché non son mai stato felice.
È la prima volta che sono felice.
Sono tranquillo e felice.
Come mi amano: mi covano; come un re, proprio.
Corrono a regger la frasca che vuol sferzarmi in viso; mi levano il sasso scomodo di sotto i piedi.
È un peso tremendo questo amore.
Ciascuno è pronto a morir per me volentieri.
Ma sono tranquillo e felice,
Perché anch'io per ciascuno di loro.

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MATTINA DOPO


che ricalco la via vuoto e fiaccato.
Noi amiamo troppo, noialtri italiani.
Bisogna vincere, no amare.
Come sopporteresti allora di vederli morire?
Amare toccherà a quelli dopo.
Ho sbagliato: è stata la gioia di ritrovar questo popolo cosi puro.
Carezzavo ogni suo bambino per strada: anch'io son tuo figliolo.
Ora intanto, non potrai più amar come prima, il primo amore passato.
La disciplina invece, quella dura.
È vero. Ma come sopporteremmo noialtri di morir senza amore?
Noi dobbiam fare la guerra come abbiamo fatto la vita.
E mentre ragiono, un militare appare in cima alla strada.
Schiacciato dallo zaino immenso, stenta a muovere piede; le sue lunghe cannucce tremanti abbandonano il peso ogni volta sul pistocco fedele.
Stramazzerà se si ferma un minuto.
Ma non si fermerà: nei rivi di sudore il suo viso disperato serra un'estrema risoluzione.
Vuol partir coi compagni il polmonitico appena rientrato.
«Ah! signor tenente, signor tenente…» Ma avanza, ma, mentre guardo, mi ha già oltrepassato.
«Fistarol, grido, figliuol mio, marca visita: è il tuo tenente che te lo chiede. La patria questo non te lo può domandare» .
O Signore, Signore, una sola cosa: rimaner degno di questo soldato fino alla fine.

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Jahier, primo a sinistra, con alcuni alpini e la mascotte (Pubblico Dominio)

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LA FRASE DEL GIORNO
Mi sforzo di mettermi al loro livello, di farmi le loro vere obiezioni. Ma ecco scopro che salgo di livello io, che proprio io divento più vero.
PIERO JAHIER, Con me e con gli alpini




Piero Jahier (Genova, 11 aprile 1884 – Firenze, 19 novembre 1966), scrittore, poeta e traduttore italiano. La sua poesia possiede un tono biblico e profetico che egli assume sia dalla versione latina e italiana delle Sacre Scritture sia dalle cadenze di Walt Whitman e di Paul Claudel (che lo scrittore ebbe modo di tradurre) e ancora dal futurismo. Le immagini che propone sono di una forte moralità e si rifanno alla vita contadina e agli affetti domestici.


1 commento:

Vania ha detto...

..leggerò con calma...sono ai fornelli...non riesco a concentrami.:)
ciaooo Vania