lunedì 10 maggio 2010

Bergamo 2010, lunga emozione

C’è voluta più di un’ora per compiere il lungo percorso della sfilata per le vie di Bergamo in occasione della 83a Adunata Nazionale degli Alpini di ieri. Con senso dell’ospitalità, il cielo orobico ha consentito a chi veniva da lontano di sfilare sotto il sole, inondando solo emiliani e lombardi con una pioggia dapprima fine, poi più sostenuta.

I quattro chilometri della sfilata sono stati per me un’ora vissuta come un incessante brivido, una pelle d’oca continua e indescrivibile, una lunga emozione che conserverò tra i miei ricordi più belli. Sfilare tra due ali di folla che inneggia e canta insieme a te nonostante la pioggia è un evento davvero impagabile.

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Preceduti dalla fanfara di Esino Lario marciavamo cantando “Aprite le porte”, “La bandiera dei tre colori”, “Valore alpino” e tutta la città cantava al nostro passaggio. “E la bandie-e-ra dei tre colo-o-ri / è sempre stata la più bella, / noi vogliamo sempre quella, / noi vogliam la libertà, / la libertà, la libertà”, la voce mi si incrinava nel canto, le gocce sulla mia faccia non si poteva capire se fossero pioggia o lacrime. “Ecco l’Italia che vogliamo” titola oggi l’editoriale dell’Eco di Bergamo: è quello che ho pensato sfilando, guardando i volti delle persone assiepate dietro le transenne, incuranti del maltempo, che si sgolavano a incitare e si spellavano le mani per applaudire, le ragazze e i ragazzi che sono rimasti per ore a seguire la sfilata, gli immigrati che si mescolavano ai bergamaschi, ai lombardi, ai piemontesi, ai friulani. È quello che mi sono detto ogni volta che alzavo una mano per salutare chi era affacciato alle finestre, a chi sventolava il tricolore dai balconi, a chi urlava “Viva gli Alpini!” e se era una signora, si rispondeva di rimando “Viva le mamme!”. Un’Italia che sa quali sono i valori da applicare ma che troppo spesso lo dimentica. Non è un caso che gli unici fischi siano venuti quando due politici hanno solo tentato di indossare il cappello alpino non avendone il diritto: il ministro della difesa Ignazio La Russa, arrivato con l’accoglienza delle Frecce Tricolori e partito un’ora dopo per Beirut, e Antonio Di Pietro; “Nooo! Nooo!” si è levato dalle schiere che passavano salutando il Labaro. Mancava l’alpino DOC Franco Marini, bloccato dalla nube islandese, ma per tutte le 12 ore e mezza del corteo è rimasto al suo posto il Carabiniere Giovanardi. A sfilare siamo stati in 100.000 ma in città, tra amici, mogli, fidanzate e simpatizzanti sono affluiti in 500.000.

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Al termine di Via Angelo Maj, dove la sfilata entrava nel suo clou imboccando il lungo Viale Papa Giovanni XXIII, Bergamo mostrava i suoi impareggiabili effetti speciali: sullo sfondo Città Alta con le Mura venete pavesate di tricolori e Porta San Giacomo illuminata di bianco, rosso e verde, più indietro le colonne di Porta Nuova rivestite con i colori della bandiera, ma soprattutto la gente ammassata sulle tribune con impermeabili, giacche antipioggia e ombrelli. È lì che l’emozione ha raggiunto il suo picco: era ormai scesa la sera. E la pioggia, la maledetta pioggia che da tre ore ci inzuppava, ha aggiunto un tocco di magia con i riflessi delle luci sull’asfalto, e un pizzico di eroismo per quanti hanno sfidato gli elementi per rendere omaggio a ciò che il Corpo rappresenta: la memoria storica, la solidarietà, il volontariato. “E gli Alpini dissero: donare vuol dire amare” recitava uno striscione. La gente sugli spalti lo sapeva, e lo sapevano quelli sulle tribune, i politici regionali che molto devono alle penne nere soprattutto in fatto di protezione civile. Faceva un certo effetto vederli ritmare con le mani il nostro passo, le nostre canzoni, con un’allegria che vorremmo vedere più spesso sulle loro facce. Così come l’emozione: è accaduto quando un reduce della guerra d’Abissinia, un novantasettenne di Asiago, ha voluto alzarsi dalla sua carrozzina per compiere a piedi una decina di metri della sfilata davanti al Labaro nazionale decorato da centinaia di medaglie d’oro: per onorare il loro sacrificio, avrà pensato, questo che io compio è solo un piccolo sacrificio, ma non posso fare a meno di compierlo.

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A noi di Lecco, cui è toccato sfilare per ultimi tra le sezioni italiane, un privilegio raro: precedere la sezione ospitante. Dietro di noi si accendeva il boato della folla – quasi un urlo da stadio – all’arrivo dei Gruppi di Bergamo: “Bèrghem! Bèrghem!” si levava dalle transenne, “Bèrghem! Bèrghem!” rispondeva la massa che sfilava in ordinate file da nove, ed erano più di 10.000 gli alpini orobici. Dopo l’ammainabandiera, conclusa la festa e passata la “stecca” a Torino, che ci ospiterà il 6, 7 e 8 maggio 2011 nell’ambito dei festeggiamenti per il Cinquecentenario dell’Unità, è stato il momento di riprendere il treno con un po’ di magone e tornare a casa. E lì sono venute le dolenti note, dalle Ferrovie: treni strapieni e inadeguati, orari assolutamente folli, mancanza di informazioni e maleducazione. La Polizia Ferroviaria ci ha “consigliato” di girare per la stazione e per i sottopassaggi fino all’arrivo del treno, due ore dopo! Non dovevamo intasare l’atrio. Abbiamo telefonato a famigliari e amici per farci venire a prendere in auto. Aspettandoli, commentavamo: certo, se a far funzionare gli apparati statali ci fossero gli Alpini, tutto questo macello non sarebbe accaduto…

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LA FRASE DEL GIORNO
Berghem de sass.
MOTTO DEL GRUPPO ARTIGLIERIA DA MONTAGNA “BERGAMO”

4 commenti:

Vania e Paolo ha detto...

...alle volte basta veramente poco...per dimostrare l'emozione della libertà/amicizia...presa...presente e futura.
Ciao Vania

DR ha detto...

la cosa più bella è che nonostante la pioggia tutti sono rimasti al loro posto: chi sfilava e chi assisteva, e anche questo è un piccolo grande segno che l'Italia può essere diversa da quella che è

Luciana Bianchi Cavalleri ha detto...

w l'Italia... e
w i nostri amati alpini!

DR ha detto...

non posso che concordare... stamattina ero a Bergamo, che malinconia: la città sembrava vuota, incredibilmente vuota, ed era solo la solita Bergamo di sette giorni fa